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Telfer, Cagli e altre storie

La Telfer di Papigno

L’articolo che alcuni giorni fa, accostando i mosaici di Cagli alla passerella Telfer, ha giustamente dato rilievo alla nozione di bene culturale che, come stabilì opportunamente la commissione Franceschini all’inizio del Novecento, non riguarda solo rare opere d’arte ma si estende anche agli altri manufatti realizzati dall’uomo, concetto peraltro ribadito nella recente legge regionale promossa dal Consigliere Gianfranco Chiacchieroni. La legge Chiacchieroni ha finalmente sottolineato la necessità di “sfruttare anche quegli spazi che sembrano invece esser destinati alla demolizione, dando dignità e nuova vita ad edifici che in molti casi hanno scritto pagine di storia della nostra Regione”. Nonostante tali buoni auspici, è noto che la demolizione della Telfer, testimonianza storica del lavoro dei ternani, sia imminente, con il modico esborso di circa 400 mila euro. Negli ultimi venti anni a fronte di grandi proclami riguardanti il sito di Papigno, non è stato realizzato il minimo intervento per preservare i macchinari e le strutture, lasciati al loro ineluttabile degrado strutturale e a disposizione dei ladri di metalli, contrastati unicamente dall’encomiabile opera dei Carabinieri della Stazione di Papigno. Gli investimenti hanno esclusivamente riguardato il cinema, purtroppo sappiamo bene com’è finita, nonostante gli sforzi compiuti, lasciando in eredità una discarica di scenografie da Oscar in abbandono, pessimo biglietto da visita per i turisti alle porte della città. Con 400 mila euro, investiti nei tempi e nei modi opportuni, la Telfer e altri importanti macchinari come quelli della centrale di Papigno avrebbero potuto avere adeguata manutenzione, ma a Terni possiamo pretendere tale capacità programmatica, lungimiranza, cura di beni che appartengono a ogni cittadino ternano? I fatti dimostrano il contrario e brucia ancora la vicenda del furto dei preziosi macchinari Centurini, Bosco e Alterocca, avvenuto nell’estate del 2012, fatto che non dimenticheremo mai, nonostante si sia conclusa con una totale autoassoluzione di chi aveva il dovere di conservare tali beni per le future generazioni. Questo nonostante la nostra associazione avesse più volte segnalato la necessità di provvedere a ripristinare un adeguato sistema di recinzioni, cosa che non è avvenuta neanche dopo il disastroso furto dell’estate 2012. Non si tratta di gusto per la polemica, basta solo aprire gli occhi per vedere che si tratta di un appello perché il passato non sia cancellato, costituendo al contrario una opportunità per i nostri giovani, come è stato fatto in Germania, dove la ex-miniera di Zollverein ha consentito la creazione di circa 1.000 posti di lavoro, tra i quali 110 giovani guide, puntando come attrattiva proprio sulla grandiosità dei suoi apparati industriali, visitati nel 2013 da 150 mila persone. Purtroppo siamo difronte a un grande problema culturale, non politico, che induce intima disperazione per l’insensato depauperamento di una gloriosa storia industriale cittadina, perché come scrisse un grande politico come Enrico Berlinguer “Non ci può essere inventiva, fantasia, creazione del nuovo se si comincia dal seppellire se stessi, la propria storia e realtà”.

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