Da quando la mia famiglia si è trasferita a Terni, nel 1980, in città ho sempre sentito parlare di questi “perugini”, che si prendono tutto, tutti gli enti, tutti i fondi comunitari, tutti i….. ma, di fatto, i perugini troppe volte si rivelano straordinariamente efficienti e attaccati alle loro tradizioni e alla loro storia, per motivi affettivi, ma anche per un tornaconto economico che si ripercuote positivamente sul territorio con un beneficio collettivo. Questo esempio di conservazione di macchinario tipografico da parte di un privato stride fortemente con il furto e la distruzione, per incuria, di un intero magazzino di prezioso materiale protoindustriale detenuto dal Comune di Terni all’interno di un magazzino, dimenticato, presso l’area industriale dismessa di Papigno. Tra i macchinari distrutti a Terni anche una o più Linotype un tempo utilizzate dalla famosissima tipografia Alterocca, della quale ormai restano pochissime vestigia, mal conservate. Con questa scheda iniziamo una impietosa serie dedicata a una sorta di benchmarking territoriale, per mezzo della quale evidenzieremo come taluni territori, male amministrati, facciano cadere sotto la scure della speculazione edilizia e del menefreghismo culturale immensi patrimoni collettivi di archeologia industriale, provocando un danno economico irreparabile per l’attuale generazione e per le future.
Nel 1913 la tipografia Leonardo da Vinci, di Città di Castello, aprì una sede nella località di Selci, Comune di San Giustino, dandole il nome di Pliniana in onore dello storico romano Plinio che a San Giustino avrebbe vissuto e posseduto una villa. A un secolo dalla sua fondazione la tipografia Pliniana conserva con geloso rispetto molte delle antiche attrezzature da lavoro, tra le quali le cassettiere contenenti i caratteri mobili, le matrici delle pagine di taluni volumi e due macchine tipografiche perfettamente funzionanti, una monotype del 1955 di fabbricazione inglese composta da 2700 pezzi che si muovono in perfetta sincronia e una linotype fabbricata a Milano dalle officine Meta. Non si tratta di un museo aziendale nel senso più stretto del termine, essendo costituito da macchinario ancora utilizzato, seppure la realizzazione di un prodotto stampato con caratteri in piombo sia più laboriosa e costosa di quella eseguita con tecniche moderne. Tuttavia la tipografia impiega ancora questo macchinario per particolari tipi di produzioni di nicchia destinate prevalentemente ad un’editoria scientifica specializzata, come le collane per l’Archivio segreto Vaticano, per l’Istituto storico per il medioevo, per il Centro storico benedettino italiano e per alcune riviste scientifiche e giuridiche.
Linotype
La linotype, abbreviazione di lines of type, è la macchina da stampa per eccellenza della fine dell’Ottocento e di quasi tutto il Novecento, realizzata nel 1884 a Baltimora da Ottmar Mergenthaler, un tedesco emigrato negli Stati Uniti, per dare una risposta alla necessità di accelerare la composizione di testi tipografici destinati in prevalenza ai quotidiani. Era il frutto di quasi mezzo secolo di tentativi di progettazione. Il primo quotidiano ad impiegare questo macchinario fu il New York Tribune, il cui direttore coniò il nome con cui è conosciuto. Nel 1899 fu impiegata anche in Italia, dove riscosse velocemente un forte successo, grazie soprattutto alla possibilità di ridurre notevolmente i costi di produzione.
La linotype scrive le matrici componendole su una tastiera simile a quella di una macchina da scrivere, queste scendono in un compositore dove si forma una riga di testo che viene poi trasportata a un meccanismo di fusione che la giustificata automaticamente. Le righe vengono poi allineate in un magazzino dove si forma la pagina. In realtà la parte meccanica è molto complessa, un vero rompicapo di ingranaggi, tubicini, cavi, cinghie, una batteria di pistoni. L’operatore, linotipista, premendo un tasto provoca il rilascio dal magazzino la lettera scelta, che attraverso alcuni condotti si posizionava sulla riga di battitura, all’altezza degli occhi dell’operatore stesso. Il comando di a capo provoca la fusione dei caratteri che hanno costituito la riga, che vengono espulsi in un blocchetto, più blocchetti forma la pagina. Un procedimento così complesso richiede tanti meccanismi, che costituiscono perciò una macchina molto grande e pesante.
Questa tecnologia è stata sostituita, dopo circa un secolo, dalla stampa off-set.
La linotype della tipografia di San Giustino, come tanti altri esemplari simili, ha trovato impiego nella composizione dei testi di libri e quotidiani, lavorazione per la quale occorrevano matrici sempre diverse, molto costose da produrre a mano, e una composizione molto rapida, soprattutto per i giornali, capace di tenere il passo con la velocità delle più moderne macchine stampatrici, basti pensare che una macchina Marinoni riusciva a produrre 20.000 copie in un’ora.
Albert Einstein alle prese con una Linotype negli USA
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Monotype
Il limite della composizione con la linotype risiedeva nelle righe intere, ovvero nella difficoltà di correggere una lettera o una intera parola del testo.
Tre anni dopo l’introduzione sul mercato della linotype, nel 1887, negli Stati Uniti Tolbert Lanston fondava la Lanston Monotype Machine Company, nel 1886 aveva brevettato la macchina a tipocomposizione hot metal, era nata la monotype, un’altro congegno per la composizione dei testi.
La Monotype comparve in Europa all’Esposizione di Parigi del 1900 e fu introdotta in Italia nel 1903.
Questo nuovo strumento è costituita da due corpi indipendenti, la tastiera e la compositrice. Per mezzo della tastiera le lettere sono memorizzate perforando un supporto di carta, questo, inserito nella macchina compositrice, permette la rapida gestione dei caratteri e la formazione delle righe, con una velocità media di circa 9000 caratteri l’ora. Il nastro perforato può essere riutilizzato per eventuali successive ristampe. Il procedimento è molto simile a quello impiegato nei primi calcolatori elettronici a schede perforate.
Il nastro perforato, posto sulla seconda unità, viene letto per mezzo di un cilindro cavo di lamiera con 31 fori, all’interno del quale scorre aria compressa, la coincidenza di un foro del nastro di carta con un foro nel cilindro lascia passare l’aria compressa contenuta nel cilindro, provocando il sollevamento di pistoncini che fermano il telaio porta matrici, che si viene a trovare al di sopra della forma a fondere. In questa fase il metallo fuso può penetrare e formare il carattere. Ripetendo il passaggio, secondo i fori del nastro, si ottiene una riga di caratteri singoli. Il nastro di carta perforato prodotto dalla tastiera Monotype avanza grazie a una perforazione laterale tipo pellicola cinematografica.
Bibliografia
Dalmazzo Gianolio, La tipografia, Torino, 1914;
Gianni Enrico, Conoscere la stampa, Milano, 1953;
Sigfrid Henry Steiberg, Cinque secoli di stampa, 1982 Torino.
Il museo si trova in località Selci Lama, tra Città di Castello e San Giustino.
Viale Selci – 06016 San Giustino (PG)
tel: 075 8582115
E mail: pliniana.amm@libero.it
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